CORTE DI APPELLO DI NAPOLI 
                        quinta sezione penale 
 
    La Corte, composta dai signori magistrati: 
        Dott. Andrea Rovida Presidente; 
        Dott.ssa Maria Rosaria Salzano Consigliere; 
        Dott. Stefano Risolo Consigliere est. 
 
                              Ordinanza 
 
    visto l'atto, depositato in  data  23.07.2018  dall'avv.  Lorenzo
Bruno Molinaro, difensore di D  P  E  nata  , e di V S   nata  a   ),
con il quale  viene  domandata:  1)  la  sospensione  dell'esecuzione
dell'ordine ".-giudiziale di  demolizione  contenuto  nella  sentenza
emessa il  (irrevocabile il   dalla Corte di Appello di  Napoli  -  V
Sezione penale, che riformava parzialmente la sentenza del  Tribunale
di Torre Annunziata - Sezione Distaccata di Sorrento del  22.11.1999,
confermando i capi  relativi  alle  sanzioni  accessorie  (ordine  di
demolizione ex art. 31,  co.  9,  D.P.R.  n.  380/'01  ed  ordine  di
rimessione in pristino dello stato dei luoghi ex art. 1 sexies  della
L. n. 431/'85), per avere  le  istanti  realizzato,  in  assenza  dei
prescritti titoli abilitativi, opere edili nel Comune di   (NA), alla
via ;  2)  la  dichiarazione  di  nullita'  o  di  inefficacia  della
conseguenziale ingiunzione di demolizione emessa dal  P.G.  in  data 
all'esito dell'udienza del 31.01.20120, in cui la difesa si riportava
alle richieste avanzate con l'atto depositato ed il P.G. ne  chiedeva
il rigetto, riportandosi al parere dell'Ufficio allegato agli atti; 
 
                               Osserva 
 
    Con l'incidente in esecuzione in esame la difesa di D  P   E  e V
 S  - in sintesi - avanza un triplice ordine di argomentazioni. 
    1. In primo luogo sostiene  il  contrasto  fra  l'ingiunzione  di
demolizione emessa dal P.G. in danno delle istanti  ed  il  principio
del  ne  bis   in   idem   in   relazione   agli   effetti   prodotti
nell'ordinamento interno dalla sentenza della C.E.D.U. Grande Stevens
ed altri c. Italia depositata in data 04.03.2014, con la  conseguente
violazione del principio del giusto processo  e  dell'art.  50  della
Carta dei Diritti Fondamentali dell'Unione Europea del 07.12.2000 (da
cui l'ineseguibilita' del giudicato  penale  in  quanto  "ingiusto");
cio' in considerazione del fatto che gia' nelle date dell'  e del  il
Comune di aveva emesso due provvedimenti di demolizione nei confronti
delle istanti, il che determinerebbe la violazione del principio  del
ne bis in idem - statuito dall'art. 4, Protocollo 7,  della  C.E.D.U.
-, per essere gli stessi provvisti di un sostanziale carattere penale
(discendente dalla loro intrinseca afflittivita'), e l'applicazione -
di fatto -  del  sistema  del  "doppio  binario",  da  reputarsi  non
legittimo    come    conseguenza     dell'immediata     precettivita'
nell'ordinamento interno delle norme  della  C.E.D.U.  -  cosi'  come
interpretate  dalla  Corte  di  Strasburgo  nelle  sue   sentenze   -
attraverso il richiamo operato dal precetto di cui all'art. 117 della
Costituzione; pertanto, la difesa  domanda  sollevarsi  questione  di
legittimita' costituzionale - per  violazione  dell'art.  117  co.  1
della Costituzione in  relazione  all'art.  4  del  Protocollo  n.  7
allegato alla Convenzione per la salvaguardia dei diritti dell'uomo e
delle liberta' fondamentali - dell'art. 649 c.p.p.,  nella  parte  in
cui non prevede il divieto di un secondo giudizio  nel  caso  in  cui
l'imputato  sia  risultato  destinatario  per  il   medesimo   fatto,
nell'ambito di un procedimento amministrativo,  di  un  provvedimento
definitivo volto all'applicazione di una sanzione  alla  quale  debba
riconoscersi  natura  penale  ai  sensi  della  Convenzione  per   la
salvaguardia dei Diritti dell'Uomo e delle  Liberta'  Fondamentali  e
dei relativi Protocolli. 
    2. In secondo  luogo,  la  difesa  sostiene  doversi  revocare  o
sospendere  l'ordine  di  demolizione  contenuto  nella  sentenza  di
condanna  delle  istanti  poiche'  incompatibile  con  i   successivi
provvedimenti adottati dal Comune di   , ed in particolare: a) con la
determina n.  del   ,  con  cui  veniva  disposta  l'acquisizione  al
patrimonio dell'Ente delle opere abusive in oggetto e della  relativa
area di sedime per inottemperanza  ai  provvedimenti  di  demolizione
sopra indicati; b)  con  la  delibera  n.    ,  con  cui  il  Comune,
richiamata la sopravvenuta  legge  regionale  n.  5  del  06.05.2013,
procedeva all'approvazione del regolamento  contenente  l'indicazione
dei criteri di assegnazione degli immobili  acquisiti  al  patrimonio
comunale per finalita' di "social housing",  riconosciute  meritevoli
di  tutela  anche  dal  legislatore  nazionale;  e)  con  l'ulteriore
delibera n. , mediante la quale il Comune, in attuazione del predetto
regolamento,   dichiarava   "il   prevalente   interesse    pubblico"
all'acquisizione conservativa  del  bene  in  oggetto  al  patrimonio
comunale,  ai  sensi  dell'art.  31  del  D.P.R.  n.  380/2001,   per
destinarlo ad attivita' di "edilizia residenziale sociale". 
    3. In terzo  luogo,  la  difesa,  a  supporto  della  domanda  di
revoca/sospensione dell'ordine  di  demolizione  e  della  pedissequa
ingiunzione del  P.G.,  sostiene  come  la  procedura  di  esecuzione
dell'ordine di demolizione sarebbe stata avviata  in  violazione  dei
criteri di priorita' sanciti dal Procuratore Generale presso la Corte
di Appello di Napoli con provvedimento  del  10.12.2015,  finalizzati
alla  piu'  razionale  individuazione  degli  immobili  da   demolire
esistenti nel territorio del Distretto. 
    Inoltre, per l'udienza dell'11.06.2019, il  Comune  di     faceva
pervenire  separata  istanza  volta  alla   revoca   dell'ordine   di
demolizione in oggetto  perche'  contrastante  con  il  provvedimento
comunale di acquisizione al proprio patrimonio dell'immobile  di  cui
trattasi. 
    Cio' posto, opina la Corte come le argomentazioni compendiate nel
punto 1) siano infondate, non essendo  condivisibile  il  presupposto
del ragionamento difensivo, imperniato sulla  natura  sostanzialmente
penale  del  provvedimento  comunale  di  demolizione  del  manufatto
abusivo. 
    Ed  invero,  deve  osservarsi  come  siffatto  provvedimento  sia
sprovvisto di caratteristiche fondamentali della sanzione  di  natura
penale,  quali  la   suscettibilita'   di   assumere   il   carattere
dell'irretrattabilita' e la finalita' della misura, la quale  non  e'
caratterizzata   dai   connotati   della   repressivita'   e    della
generalprevenzione,  bensi'  e'  tesa  a  conseguire   un   obiettivo
squisitamente riparatorio  e  ripristinatorio,  ossia  quello  -  non
immediatamente punitivo - di ricostituire  lo  status  quo  ante  nei
luoghi interessati  dagli  abusi  edilizi,  in  maniera  da  tutelare
primieramente    l'interesse    pubblico    all'ordinato     sviluppo
dell'attivita'  urbanistica   sul   territorio,   cui   si   affianca
l'interesse pubblico alla tutela paesaggistica. 
    Anche la giurisprudenza amministrativa, peraltro, osserva che  la
sanzione   amministrativa   della   demolizione   «ha   ad    oggetto
esclusivamente la res abusiva; non consiste in una misura  afflittiva
volta a punire la condotta illecita bensi' a ristabilire l'equilibrio
urbanistico violato»; sicche' il Consiglio  di  Stato  l'ha  definita
«sanzione  ripristinatoria»  (Consiglio  di  Stato,  sezione   sesta,
sentenza 22 maggio 2017, n. 2378). 
    Peraltro,  deve  porsi  in  risalto  come   anche   l'ordine   di
demolizione disposto con la sentenza del giudice  penale  costituisca
una sanzione di natura amministrativa. 
    Tale principio e' stato di recente ribadito dalla  Suprema  Corte
nella sentenza n. 36383/'15  della  Sezione  III,  alla  cui  stregua
"l'ordine di demolizione  delle  opere  abusive  emesso  dal  Giudice
penale ha carattere reale  e  natura  di  sanzione  amministrativa  a
contenuto  ripristinatorio  e  deve  pertanto  essere  eseguito   nei
confronti di tutti i soggetti che sono in rapporto col bene e vantano
su di esso un diritto reale o personale di  godimento,  anche  se  si
tratti di soggetti estranei alla commissione del reato".  Ed  ancora,
e' pacifico in giurisprudenza che "sulla  base  delle  argomentazioni
svolte dalla sentenza della Corte Europea 20 gennaio 2009, Sud Fondi,
emerge che la demolizione - a differenza della confisca  -  non  puo'
considerarsi una pena nemmeno ai sensi  dell'art.  7  della  C.E.D.U.
perche' essa tende alla riparazione effettiva di un danno  e  non  e'
rivolta nella sua essenza a punire per impedire  la  reiterazione  di
trasgressioni a prescrizioni stabilite dalla legge" (cfr. Cass. Pen.,
Sez. II n. 48925 del 22.10.2009). 
    Tali principi - peraltro  -  non  consentono  di  condividere  le
opposte  argomentazioni  con  cui,  nella  memoria  difensiva  datata
06.12.2018,  si  chiede  dichiararsi  estinta   la   sanzione   della
demolizione (ritenutane la valenza di pena) ai  sensi  dell'art.  173
c.p.. 
    Dunque, non si ravvisano, nel caso di specie, i  presupposti  per
ritenere violato il principio del ne bis in idem, nelle forme per  le
quali e' oggetto di tutela da parte della Corte di Strasburgo. 
    Del resto, osserva questo Collegio come  dopo  l'emissione  della
sentenza Grande Stevens ed  altri  c.  Italia  -  ed  in  conseguenza
dell'acceso dibattito che  ne  e'  conseguito  e  delle  oscillazioni
interpretative  registratesi  nella  giurisprudenza  interna  -   sia
intervenuta la decisione della Grande Camera della Corte E.D.U. A e B
e. Norvegia 15 novembre 2016, che  ha  ridimensionato  il  precedente
orientamento, mitigando la rigidita' della presa di posizione assunta
con la sentenza sopra menzionata. 
    La Grande Camera ribadisce altresi' i presupposti  dell'identita'
del  fatto  storico  e  della  natura  sostanzialmente  penale  delle
sanzioni amministrative, ma riafferma  il  principio  che  gli  Stati
possono adottare risposte sanzionatorie  complementari  di  fronte  a
comportamenti socialmente inaccettabili, con il limite che  cio'  non
comporti un onere eccessivo per il soggetto sanzionato. 
    Nella efficace sintesi della  sentenza  in  discorso,  la  Grande
Camera finisce con l'affidare al  giudice  nazionale  il  compito  di
stabilire se ci si trovi, o meno, in presenza  di  un  bis  in  idem,
valutando se i procedimenti in questione presentino, avendo  riguardo
alle peculiarita' dei casi di  specie,  il  requisito  di  un  nesso,
materiale e temporale sufficientemente  stretto  ("sufficiently  dose
connection in substance and time"). Tali principi sono stati ribaditi
dalla giurisprudenza interna, segnalandosi al riguardo la sentenza n.
45829 del 16.07.2018 della Corte di Cassazione, Sez. V. 
    Dunque, il cumulo sanzionatorio e' compatibile con  il  principio
del ne bis  in  idem  laddove  (sulla  base  di  valutazioni  rimesse
esclusivamente ai  giudici  nazionali)  i  procedimenti  sanzionatori
presentino una connessione sostanziale e  temporale  sufficientemente
stretta, valorizzandosi in particolare la prevedibilita'  del  doppio
binario, l'unicita' della raccolta  e  valutazione  delle  prove,  Ia
complessiva proporzionalita' delle sanzioni  inflitte  rispetto  alla
gravita' della condotta, tutti requisiti che - secondo questa Corte -
possono essere ravvisati nella sinergia  applicativa  dell'ordine  di
demolizione disposto dall'Ente locale e di quello  stabilito  con  la
sentenza del giudice penale. 
    Ed  invero  le  due  sanzioni,  pur  conseguendo  a  procedimenti
distinti facenti capo a diverse Autorita', si  completano  a  vicenda
nella prospettiva del ripristino dello  stato  dei  luoghi  anteriore
all'alterazione   del   territorio   cagionata    dalla    violazioni
urbanistiche del reo, fondandosi sugli accertamenti della P.G.. Nella
fattispecie in esame, poi, vi e' contiguita' cronologica fra il primo
ordine comunale di demolizione   e l'instaurazione  del  procedimento
penale che ha condotto alla pronuncia della sentenza di  condanna  di
primo  grado  (22.11.1999).  Ne'  si  ravvisa  una  sproporzione  tra
l'effetto complessivo degli interventi  sanzionatori  e  la  gravita'
della condotta ascritta alle condannate, data la  suscettibilita'  di
quest'ultima di pregiudicare significativamente  l'ordinato  sviluppo
urbanistico del territorio, contribuendo allo scempio  del  paesaggio
notoriamente cagionato  in  Italia  dall'incontrollata  attivita'  di
edificazione in spregio delle norme che governano il settore. 
    Inoltre, l'equilibrio della complessiva risposta sanzionatoria si
evince dalle interazioni  delle  sorti  dei  distinti  provvedimenti,
essendo previsto, ad esempio, che l'esecuzione dell'ordine giudiziale
di demolizione debba arrestarsi  di  fronte  a  determinate  vicende,
quali l'avvenuta demolizione in via amministrativa e  l'emissione  di
provvedimenti  amministrativi  di  sanatoria   degli   abusi   ovvero
impositivi di vincoli  di  destinazione  dei  manufatti  abusivi  che
vengano ritenuti rispondenti ad un  interesse  prevalente  su  quello
all'eliminazione delle opere ed al ripristino dello status quo ante. 
    A fronte di cio', va evidenziato come  il  raggio  delle  censure
avanzate dalla difesa sia limitato all'esame delle  implicazioni  sul
diritto interno della sentenza "Grande  Stevens",  senza  valorizzare
nella  giusta  portata  i  significativi  sviluppi  successivi  della
giurisprudenza comunitaria ed interna, rispetto ai quali le ulteriori
pronunce richiamate dalla  difesa  con  le  integrazioni  documentali
versate in atti (tra cui la sentenza della Corte Edu,  sez.  II,  del
16.04.2019) non appaiono aggiungere elementi  di  novita'  in  ordine
alle problematiche in oggetto ed in  particolare  rispetto  a  quanto
stabilito dalla Grande Camera della Corte E.D.U. nella decisione A  e
B c. Norvegia 15 novembre 2016. Ed invero,  con  riguardo  alla  piu'
recente  giurisprudenza  di  legittimita'.,  si  e'   osservato   che
"l'imposizione dell'ordine di demolizione di  un  manufatto  abusivo,
anche se disposta dal giudice penale ai sensi dell'art. 31,  comma  9
D.P.R. n. 380 del 2001, art. 31 ha natura di sanzione  amministrativa
che  assolve  ad  un'autonoma  funzione  ripristinatoria   del   bene
giuridico leso e non ha finalita' punitive,  producendo  effetti  sul
soggetto  che  e'  in  rapporto  con   il   bene,   indipendentemente
dall'essere o meno quest'ultimo l'autore dell'abuso, non  comportando
ragione di tali caratteristiche, la violazione del principio  del  ne
bis in idem convenzionale, come  interpretato  dalla  sentenza  della
Corte Europea dei diritti dell'uomo nella  causa  Grande  Stevens  c.
Italia del 4 marzo 2014 (cfr.  Cass.  Pen.,  Sez.  3,  n.  17389  del
21.02.2019,   non  massimata;  Cass.  Pen.,  Sez.  3^  n.  51044  del
03.10.2018, M., Rv. 274128). Nell'occasione si e'  sostenuto  che  la
richiamata sentenza  Grande  Stevens  c.  Italia  ha  sostanzialmente
sostenuto il principio secondo cui il divieto del ne bis in idem puo'
ritenersi violato solo allorquando, per un fatto corrispondente sotto
il profilo storico-naturalistico a quello oggetto di sanzione penale,
sia  gia'  stata  irrogata  all'imputato  una  sanzione   formalmente
amministrativa,    della    quale    venga    riconosciuta     natura
"sostanzialmente penale" (cfr. Cass.  Pen.,  Sez.  6,  n.  31873  del
09.05.2017, P.G. in proc.     , Rv. 270852), escludendo,  quindi,  la
sussistenza di una violazione del principio  del  "ne  bis  in  idem"
convenzionale nel caso in cui uno dei procedimenti  in  relazione  al
quale si invoca il principio non abbia natura sostanzialmente  penale
(cfr. Cass. Pen., Sez. 3, n. 56264 del 18.05.2017, P.G.  e  altro  in
proc.      , Rv. 272329). 
    Quanto  affermato  dalle  richiamate  pronunce,  nell'ambito   di
procedimenti aventi ad  oggetto  materie  diverse,  ha  ripetutamente
trovato applicazione in piu' decisioni della  Corte  di  legittimita'
relative  a  procedimenti  nei  quali  l'applicazione  della   citata
pronuncia  della  Corte  EDU  era  stata  invocata  con   riferimento
all'ordine di demolizione di un manufatto abusivo. E'  stata  infatti
ritenuta, in primo luogo, rilevante, ai fini della non applicabilita'
del principio, l'assenza di qualsiasi prova della definitivita' della
irrogazione della sanzione amministrativa (cfr. Cass. Pen.,  Sez.  3,
n. 30206 del 24.05.2017, G   ,non mass.). Si e' poi chiarito  che  le
disposizioni che prevedono la demolizione dell'immobile  abusivo  non
comportano l'applicazione di due  "pene"  diverse  all'esito  di  due
distinti procedimenti relativi  al  medesimo  fatto,  venendo  invece
applicata  la  medesima  sanzione   amministrativa   finalizzata   al
ripristino  dell'assetto  del  territorio,  escludendosi  cosi'   una
concorrenza di  sanzioni  e  ricorrendo,  invece,  un'unica  sanzione
amministrativa, ancorche' irrogabile anche dal giudice  penale  (cfr.
Cass. Sez. 3, n. 41498 del 07.06.2016, F ed altri, non mass.; Sez. 3,
n. 17246 dell'8.03.2017, Ivi ,  non  mass.;  Sez.  3,  n.  20873  del
10.11.2017, N  , non mass.; Sez. 3, n. 20874 del 10.11.2017, C    non
mass.; Sez. 3, n. 9886 del 07.02.2018, S   , non mass.). Si  pone  in
risalto che cio' che rileva in  maniera  determinante  e'  la  natura
prettamente amministrativa dell'ordine di demolizione, che assolve ad
un'autonoma  funzione  ripristinatoria  del  bene   giuridico   leso,
configura un obbligo di fare,  imposto  per  ragioni  di  tutela  del
territorio,  non  ha  finalita'  punitive  ed  ha  carattere   reale,
producendo effetti sul soggetto che  e'  in  rapporto  con  il  bene,
indipendentemente dall'essere  stato  o  meno  quest'ultimo  l'autore
dell'abuso (cfr. Cass. Pen., Sez. 3, n. 49331 del 10.11.2015, D.  Rv.
265540, e successive conformi). 
    L'ordine di demolizione non puo', dunque,  in  ragione  di  dette
caratteristiche, ritenersi una "pena"  nel  senso  individuato  dalla
giurisprudenza della Corte  EDU;  ne  resta  rafforzato,  dunque,  il
principio che, in materia di reati concernenti  violazioni  edilizie,
l'imposizione dell'ordine di demolizione di un  manufatto  abusivo  -
definito nei termini che precedono - non comporta la  violazione  del
principio del "ne bis in idem" convenzionale, come interpretato dalla
sentenza della Corte Europea dei diritti dell'uomo nella causa Grande
Stevens c. Italia del 4 marzo 2014 (per tutte, Cass. PenSez.  3^,  n.
51044 del 03.10.2018, M, Rv. 274128). 
    Non vi e' luogo, dunque, a sollevare la questione di legittimita'
costituzionale dell'art. 349 c.p.p.  prospettata  dalla  difesa;  del
resto,  analoga  questione  e'  stata  gia'  affrontata  dalla  Corte
Costituzionale, la quale, con sentenza  n.  102  del  12.05.2016,  ha
ritenuto la legittimita' della detta norma. 
    Superate le questioni sollevate  dalla  difesa  sub  1),  ritiene
questa Corte come,  con  riferimento  alle  argomentazioni  difensive
condensate nel punto 2) dell'istanza proposta da D  P  E  e  Vanacore
Serafina emerga la necessita' di sollevare alla Corte  Costituzionale
un quesito avente decisiva  refluenza  sulla  decisione  da  assumere
nell'incidente di esecuzione in oggetto. 
    Ed invero, risulta acquisita agli atti copia della delibera n.  ,
mediante la quale il Comune di in attuazione del regolamento adottato
con delibera del  05.03.2015,  dichiarava  "il  prevalente  interesse
pubblico" all'acquisizione  conservativa  del  manufatto  abusivo  al
patrimonio comunale, ai sensi  dell'art.  31  co.  5  del  D.P.R.  n.
380/2001, per  destinarlo  ad  attivita'  di  "edilizia  residenziale
sociale".  Come  evidenziato  dalla  difesa,  il   provvedimento   e'
espressione del potere di valutazione della possibilita' di destinare
le opere abusivamente  edificate  alla  realizzazione  di  prevalenti
interessi pubblici, da ultimo rafforzato dalla legge regionale  n.  5
del 6 maggio 2013, che all'art. 1, co. 65, prevede che  gli  immobili
acquisiti   al   patrimonio   comunale   possano   essere   destinati
prioritariamente ad  alloggi  di  edilizia  residenziale  pubblica  e
sociale e che i Comuni stabiliscono, entro novanta giorni dalla  data
di entrata in vigore della disposizione e nel  rispetto  delle  norme
vigenti  in  materia  di  housing  sociale   di   edilizia   pubblica
riguardanti i criteri di assegnazione degli  alloggi,  i  criteri  di
assegnazione degli immobili in questione, riconoscendo  precedenza  a
coloro che, al tempo dell'acquisizione, occupavano il cespite, previa
verifica che gli stessi non  dispongono  di  altra  idonea  soluzione
abitativa, nonche' procedure di un piano di dismissione degli stessi. 
    Deve, pervero, osservarsi come, con la recente  sentenza  n.  140
del   05.07.2018,   la   Corte   Costituzionale   abbia    dichiarato
l'illegittimita' costituzionale - per violazione dell'art. 117 co.  3
Cost. - dell'art. 2, co. 2 della legge regionale Campania  22.06.2017
n. 19 (Misure di semplificazione e linee guida di supporto ai  Comuni
in materia  di  governo  del  territorio),  il  quale  -  in  maniera
sostanzialmente  sovrapponibile  all'art.  1,  co.  65,  della  legge
regionale n. 5 del 2013 - stabiliva che, «ferma  restando  l'autonoma
valutazione  dei  Consigli  comunali  sull'esistenza  di   prevalenti
interessi pubblici rispetto alla procedura di  demolizione  dei  beni
acquisiti al patrimonio comunale, i Comuni, nell'ambito delle proprie
competenze, possono avvalersi delle linee guida di  cui  al  presente
articolo per approvare, in conformita' e nel rispetto della normativa
nazionale  vigente  in  materia,  atti  regolamentari  e  d'indirizzo
riguardanti: a) i parametri e criteri  generali  di  valutazione  del
prevalente interesse pubblico rispetto alla demolizione; b) i criteri
per  la  valutazione  del  non  contrasto  dell'opera  con  rilevanti
interessi  urbanistici,  ambientali  o   di   rispetto   dell'assetto
idrogeologico; c) la regolamentazione della locazione  e  alienazione
degli immobili acquisiti al patrimonio  comunale  per  inottemperanza
all'ordine di demolizione, anche con preferenza per gli occupanti per
necessita'  al  fine  di  garantire   un   alloggio   adeguato   alla
composizione  del  relativo  nucleo  familiare;  d)  i   criteri   di
determinazione del canone di locazione e del prezzo di alienazione ad
onerosita' differenziata fra le superfici adeguate alla  composizione
del nucleo familiare e quelle in eventuale eccedenza; e) i criteri di
determinazione del possesso del requisito soggettivo di occupante per
necessita', anche  per  quanto  riferito  alla  data  di  occupazione
dell'alloggio;  f)  i  criteri  di  determinazione  del   limite   di
adeguatezza dell'alloggio alla composizione del nucleo familiare;  g)
le modalita' di accertamento degli elementi di cui alle  lettere  e),
f) e del possesso dei requisiti morali di cui all'articolo 71,  comma
1, lettere a), b), e), f) del decreto legislativo 26 marzo  2010,  n.
59 (Attuazione della direttiva 2006/123/CE relativa  ai  servizi  del
mercato interno); h) le modalita'  di  comunicazione  delle  delibere
consiliari approvate ai sensi dell'articolo 31, comma 5 del D.P.R. n.
380/2001 all'autorita' giudiziaria che abbia ordinato, per gli stessi
immobili, la demolizione ai  sensi  dell'articolo  31,  comma  9  del
D.P.R. n. 380/2001». Evidenziando la eterogeneita'  delle  previsioni
della  norma  appena  riportata,  la  Presidenza  del  Consiglio  dei
Ministri aveva adito la Corte  Costituzionale  evidenziando  come, «a
fronte di una disciplina statale in base alla  quale  la  demolizione
degli  immobili  abusivi   acquisiti   al   patrimonio   del   Comune
"costituisce  la  doverosa  risposta  sanzionatoria   per   reprimere
l'illecito", salve le sole ipotesi previste dal comma 5 dell'art.  31
d.P. R. n. 380 del 2001, con la disposizione impugnata "si ha che  il
bene, una volta acquisito al patrimonio comunale, non viene demolito,
ma assegnato, sulla base  di  una  apposita  procedura,  agli  stessi
occupanti,  a  prescindere  che  questi  siano   anche   gli   autori
dell'illecito e senza l'effettiva  verifica  sulla  ricorrenza  delle
circostanze previste, solo in via eccezionale, nel  citato  art.  31,
comma 5". Il ricorrente conclude sul punto affermando  che,  in  tale
modo, la  disposizione  impugnata  "incide,  sminuendone  la  portata
deterrente  e  repressiva,  sulle  norme  statali  poste   a   tutela
dell'ambiente, violando la competenza esclusiva statale, ex art. 117,
comma 2, lettera s) della Costituzione".  Sempre  con  riguardo  alla
violazione  di  tale  parametro,  il  Presidente  del  Consiglio  dei
Ministri afferma inoltre che le lettere c) e d) del comma 2 dell'art.
2 della legge reg. Campania n. 19 del  2017  realizzerebbero,  "nella
sostanza,  un  effetto  analogo  a  quello  di  un  condono  edilizio
straordinario, in quanto  consent[ono]  che  immobili  abusivi  siano
"regolarizzati" e assegnati agli autori degli abusi stessi». 
    In altri termini, la Consulta ha ribadito  quanto  gia'  previsto
dal Testo Unico dell'edilizia  all'art.  31,  co.  5,  per  il  quale
l'opera abusiva, una volta entrata nel patrimonio  del  Comune,  deve
essere demolita e solo in via eccezionale, attraverso una valutazione
da effettuarsi caso per caso, puo' essere conservata. La declaratoria
di  illegittimita'  ha  travolto  anche  la  possibilita',   prevista
dall'art. 2, co. 2 della  legge  cit.,  di  locare  od  alienare  gli
immobili  acquisiti  al  patrimonio  comunale  una  volta   accertata
l'inottemperanza all'ordine di demolizione, qualunque sia il soggetto
destinatario (occupante di necessita' o meno), per avere la  suddetta
disposizione trasformato quella "astratta possibilita'" in un  "esito
normale".  Ad  avviso  della  Corte  Costituzionale,  il  legislatore
regionale, cosi' facendo, ha  operato  in  modo  da  violare  sia  il
principio   fondamentale   della   demolizione   sia   quello   della
conservazione in via eccezionale di cui all'art. 31 co. 5 del  D.P.R.
n. 380/2001, ammissibile - quest'ultima - "soltanto se, tenuto  conto
di tutte le circostanze del caso, sussista  uno  specifico  interesse
pubblico prevalente rispetto  al  ripristino  della  conformita'  del
territorio alla  normativa  urbanistico-edilizia,  e  sempre  che  la
conservazione non  contrasti  con  rilevanti  interessi  urbanistici,
ambientali o di rispetto dell'assetto idrogeologico". 
    Cio' posto, non appare dubbio che l'art. 1  co.  65  della  legge
regionale n. 5 del  2013  contenga  'un'espressione  molto  simile  a
quella  dichiarata  incostituzionale  laddove  prevede,  a   chiusura
dell'intero   procedimento   sanzionatorio,   la   possibilita'    di
riconoscere "precedenza a coloro  che,  al  tempo  dell'acquisizione,
occupavano il cespite, previa verifica che gli stessi non  dispongano
di  altra  idonea  soluzione  abitativa".  L'evidente   analogia   va
ravvisata, in particolare, nella parte in  cui  l'art.  2,  comma  2,
della legge regionale n. 19 del 2017 prevede, alla  lettera  c),  "la
regolamentazione  della  locazione  ed  alienazione  degli   immobili
acquisiti al patrimonio comunale  per  inottemperanza  all'ordine  di
demolizione, anche con preferenza per gli occupanti per necessita' al
fine di garantire un alloggio adeguato alla composizione del relativo
nucleo familiare". 
    L'unica  differenza  -  che,  peraltro,  non  sembra  elidere  la
sostanziale sovrapponibilita' fra le previsioni in  esame  -  e'  nel
fine  di  garantire  agli  occupanti  un   alloggio   adeguato   alla
composizione  del   relativo   nucleo   familiare,   intenzionalmente
perseguita ed anzi dato per scontato  nella  disposizione  dichiarata
incostituzionale, laddove tale evenienza,  nella  disposizione  della
legge del  2013,  viene  espressamente  condizionata  all'obbligo  di
verifica  che  gli  occupanti  non  dispongano  di  altra   soluzione
abitativa. 
    Del resto, l'art. 1 comma 65 della  legge  del  2013,  nella  sua
complessiva articolazione, si pone, per un verso, anche in  contrasto
con la ratio decidendi della pronuncia di incostituzionalita' e,  per
un altro  verso,  come  norma  strumentale  o  comunque  strettamente
connessa alla regola sostanziale dichiarata illegittima. 
    Tuttavia,  deve  osservarsi  come  -  nonostante  la  sostanziale
corrispondenza dell'art. 1 co. 65 della legge regionale n. 5 del 2013
con la norma dichiarata costituzionalmente illegittima - il primo non
abbia mai formato oggetto di ricorso in via principale per  eventuale
conflitto di attribuzione ad opera del Presidente del  Consiglio  dei
Ministri  e  nemmeno  di  questione  di  legittimita'  costituzionale
sollevata in via incidentale nel corso di un giudizio  e  davanti  ad
un'autorita' giurisdizionale. 
    Appare, dunque, da ritenersi  come,  per  la  corrispondenza  fra
chiesto e pronunciato, non vi  sia  automatismo  di  effetti  fra  la
sentenza n. 140 del 2018 e la disposizione (non oggetto del  relativo
giudizio) della legge regionale n. 5 del 2013, che  pure  prevede  un
principio analogo - se non  identico  -  a  quello  dichiarato  dalla
Consulta costituzionalmente illegittimo. 
    Ed invero, secondo l'art. 27 della legge n.  87  dell'11.03.1953,
la Corte Costituzionale, "quando accoglie una istanza od  un  ricorso
relativo a questione di legittimita' costituzionale di una legge o di
un   atto   avente   forza   di   legge,   dichiara,    nei    limiti
dell'impugnazione,   quali   sono   le    disposizioni    legislative
illegittime". 
    E' vero che il principio del chiesto e pronunciato  stabilito  da
tale disposizione - valido tanto con riferimento ai  giudizi  in  via
incidentale quanto in relazione ai giudizi in via principale -  trova
esplicita deroga nello stesso articolo 27, nella cui seconda parte si
prevede che  la  Corte  "dichiara,  altresi',  quali  sono  le  altre
disposizioni  legislative,  la   cui   illegittimita'   deriva   come
conseguenza dalla decisione  adottata";  deve,  tuttavia,  osservarsi
come la Corte  Costituzionale  non  abbia  sollevato  dinanzi  a  se'
specifica  questione  di  legittimita'  costituzionale  della   legge
regionale n. 5 del 2013 (cosa che avrebbe verosimilmente fatto se  le
parti del giudizio gliene avessero segnalato l'esistenza) sulla  base
delle medesime censure sottopostele con riguardo  all'art.  2  co.  2
della legge regionale n. 19 del 2017, sicche' - ad avviso  di  questa
Corte - manca  il  presupposto  formale  della  detta  ipotesi  della
illegittimita' costituzionale "consequenziale", ossia che la medesima
sia oggetto di puntuale declaratoria ad opera della Consulta. 
    Da cio' discende che la norma pretermessa - nella  specie  l'art.
1, co. 65, della legge regionale n. 5  del  2013  -  debba  ritenersi
tuttora vigente, pur  trattandosi  di  "disposizione  intrinsecamente
collegata a quella dichiarata incostituzionale" e della quale  appare
condividere  lo  stesso  profilo  di  illegittimita'  costituzionale,
rappresentato dalla violazione della competenza esclusiva statale  ex
art. 117, comma 2, lettera s) della Costituzione. 
    Questa  Corte  ritiene  evidente  la  refluenza  della  eventuale
declaratoria  di  illegittimita'  costituzionale   della   suindicata
disposizione della legge regionale n. 5 del 2013 nel caso  in  esame,
atteso che essa -  se  effettivamente  pronunciata  -  imporrebbe  la
disapplicazione  dei  provvedimenti  comunali  che   hanno   condotto
all'acquisizione al patrimonio dell'Ente delle opere abusive  di  che
trattasi e sulle  quali  pende  l'ordine  di  demolizione  della  cui
esecuzione si dibatte nel presente procedimento. 
    Infatti, la giurisprudenza di legittimita' ha stabilito  che,  in
presenza dell'avvenuta adozione di una delibera consiliare che  abbia
sancito l'esistenza di prevalenti interessi pubblici al  mantenimento
delle opere abusive, non  possa  eseguirsi  l'ordine  di  demolizione
disposto dal giudice penale con la sentenza di condanna. 
    Ed  invero,  "l'acquisizione  gratuita  dell'opera   abusiva   al
patrimonio disponibile del Comune non e' incompatibile  con  l'ordine
di demolizione emesso dal giudice con la sentenza di condanna  e  con
la  sua  successiva  esecuzione  ad  opera  del  Pubblico  Ministero,
ostandovi  soltanto  la  delibera  consiliare  che  abbia   stabilito
l'esistenza di prevalenti interessi pubblici  al  mantenimento  delle
opere abusive (Cass. Pen., Sez. III, 18.12.2006,  n.  1904);  ancora,
"il giudice penale puo'  ordinare  la  demolizione  di  un  manufatto
abusivo anche quando sia stata  disposta  dal  Comune  l'acquisizione
dello stesso al patrimonio comunale, perche' tale  provvedimento  non
e' incompatibile  con  l'ordine  di  demolizione,  se  non  e'  stata
adottata  una   delibera   consiliare   che   abbia   dichiarato   la
conservazione  del  manufatto  per  prevalenti  interessi   pubblici,
essendo entrambe  le  ingiunzioni  dirette  a  realizzare  lo  stesso
risultato, ossia l'eliminazione  dal  territorio  dell'opera  abusiva
(Cass. Pen., Sez. III 10.10.2008, n. 41339; in termini,  Cass.  Pen.,
Sez. III, 28.04.2010, n. 32952). 
    L'orientamento, inoltre, e' stato piu' di recente ribadito  dalla
sentenza della Suprema Corte n. 41537 del 12.09.2017, in  cui  si  e'
affermato  che  il  trasferimento  al   patrimonio   comunale   della
proprieta'  dell'immobile   abusivo   non   costituisce   impedimento
giuridico  a  che  il  privato  responsabile   esegua   l'ordine   di
demolizione impartitogli dal giudice con  la  sentenza  di  condanna,
salvo  che  l'autorita'  comunale  abbia  dichiarato  l'esistenza  di
interessi  pubblici  prevalenti  rispetto  a  quello  del  ripristino
dell'assetto urbanistico violato.