CORTE DI APPELLO DI NAPOLI quinta sezione penale La Corte, composta dai signori magistrati: Dott. Andrea Rovida Presidente; Dott.ssa Maria Rosaria Salzano Consigliere; Dott. Stefano Risolo Consigliere est. Ordinanza visto l'atto, depositato in data 23.07.2018 dall'avv. Lorenzo Bruno Molinaro, difensore di D P E nata , e di V S nata a ), con il quale viene domandata: 1) la sospensione dell'esecuzione dell'ordine ".-giudiziale di demolizione contenuto nella sentenza emessa il (irrevocabile il dalla Corte di Appello di Napoli - V Sezione penale, che riformava parzialmente la sentenza del Tribunale di Torre Annunziata - Sezione Distaccata di Sorrento del 22.11.1999, confermando i capi relativi alle sanzioni accessorie (ordine di demolizione ex art. 31, co. 9, D.P.R. n. 380/'01 ed ordine di rimessione in pristino dello stato dei luoghi ex art. 1 sexies della L. n. 431/'85), per avere le istanti realizzato, in assenza dei prescritti titoli abilitativi, opere edili nel Comune di (NA), alla via ; 2) la dichiarazione di nullita' o di inefficacia della conseguenziale ingiunzione di demolizione emessa dal P.G. in data all'esito dell'udienza del 31.01.20120, in cui la difesa si riportava alle richieste avanzate con l'atto depositato ed il P.G. ne chiedeva il rigetto, riportandosi al parere dell'Ufficio allegato agli atti; Osserva Con l'incidente in esecuzione in esame la difesa di D P E e V S - in sintesi - avanza un triplice ordine di argomentazioni. 1. In primo luogo sostiene il contrasto fra l'ingiunzione di demolizione emessa dal P.G. in danno delle istanti ed il principio del ne bis in idem in relazione agli effetti prodotti nell'ordinamento interno dalla sentenza della C.E.D.U. Grande Stevens ed altri c. Italia depositata in data 04.03.2014, con la conseguente violazione del principio del giusto processo e dell'art. 50 della Carta dei Diritti Fondamentali dell'Unione Europea del 07.12.2000 (da cui l'ineseguibilita' del giudicato penale in quanto "ingiusto"); cio' in considerazione del fatto che gia' nelle date dell' e del il Comune di aveva emesso due provvedimenti di demolizione nei confronti delle istanti, il che determinerebbe la violazione del principio del ne bis in idem - statuito dall'art. 4, Protocollo 7, della C.E.D.U. -, per essere gli stessi provvisti di un sostanziale carattere penale (discendente dalla loro intrinseca afflittivita'), e l'applicazione - di fatto - del sistema del "doppio binario", da reputarsi non legittimo come conseguenza dell'immediata precettivita' nell'ordinamento interno delle norme della C.E.D.U. - cosi' come interpretate dalla Corte di Strasburgo nelle sue sentenze - attraverso il richiamo operato dal precetto di cui all'art. 117 della Costituzione; pertanto, la difesa domanda sollevarsi questione di legittimita' costituzionale - per violazione dell'art. 117 co. 1 della Costituzione in relazione all'art. 4 del Protocollo n. 7 allegato alla Convenzione per la salvaguardia dei diritti dell'uomo e delle liberta' fondamentali - dell'art. 649 c.p.p., nella parte in cui non prevede il divieto di un secondo giudizio nel caso in cui l'imputato sia risultato destinatario per il medesimo fatto, nell'ambito di un procedimento amministrativo, di un provvedimento definitivo volto all'applicazione di una sanzione alla quale debba riconoscersi natura penale ai sensi della Convenzione per la salvaguardia dei Diritti dell'Uomo e delle Liberta' Fondamentali e dei relativi Protocolli. 2. In secondo luogo, la difesa sostiene doversi revocare o sospendere l'ordine di demolizione contenuto nella sentenza di condanna delle istanti poiche' incompatibile con i successivi provvedimenti adottati dal Comune di , ed in particolare: a) con la determina n. del , con cui veniva disposta l'acquisizione al patrimonio dell'Ente delle opere abusive in oggetto e della relativa area di sedime per inottemperanza ai provvedimenti di demolizione sopra indicati; b) con la delibera n. , con cui il Comune, richiamata la sopravvenuta legge regionale n. 5 del 06.05.2013, procedeva all'approvazione del regolamento contenente l'indicazione dei criteri di assegnazione degli immobili acquisiti al patrimonio comunale per finalita' di "social housing", riconosciute meritevoli di tutela anche dal legislatore nazionale; e) con l'ulteriore delibera n. , mediante la quale il Comune, in attuazione del predetto regolamento, dichiarava "il prevalente interesse pubblico" all'acquisizione conservativa del bene in oggetto al patrimonio comunale, ai sensi dell'art. 31 del D.P.R. n. 380/2001, per destinarlo ad attivita' di "edilizia residenziale sociale". 3. In terzo luogo, la difesa, a supporto della domanda di revoca/sospensione dell'ordine di demolizione e della pedissequa ingiunzione del P.G., sostiene come la procedura di esecuzione dell'ordine di demolizione sarebbe stata avviata in violazione dei criteri di priorita' sanciti dal Procuratore Generale presso la Corte di Appello di Napoli con provvedimento del 10.12.2015, finalizzati alla piu' razionale individuazione degli immobili da demolire esistenti nel territorio del Distretto. Inoltre, per l'udienza dell'11.06.2019, il Comune di faceva pervenire separata istanza volta alla revoca dell'ordine di demolizione in oggetto perche' contrastante con il provvedimento comunale di acquisizione al proprio patrimonio dell'immobile di cui trattasi. Cio' posto, opina la Corte come le argomentazioni compendiate nel punto 1) siano infondate, non essendo condivisibile il presupposto del ragionamento difensivo, imperniato sulla natura sostanzialmente penale del provvedimento comunale di demolizione del manufatto abusivo. Ed invero, deve osservarsi come siffatto provvedimento sia sprovvisto di caratteristiche fondamentali della sanzione di natura penale, quali la suscettibilita' di assumere il carattere dell'irretrattabilita' e la finalita' della misura, la quale non e' caratterizzata dai connotati della repressivita' e della generalprevenzione, bensi' e' tesa a conseguire un obiettivo squisitamente riparatorio e ripristinatorio, ossia quello - non immediatamente punitivo - di ricostituire lo status quo ante nei luoghi interessati dagli abusi edilizi, in maniera da tutelare primieramente l'interesse pubblico all'ordinato sviluppo dell'attivita' urbanistica sul territorio, cui si affianca l'interesse pubblico alla tutela paesaggistica. Anche la giurisprudenza amministrativa, peraltro, osserva che la sanzione amministrativa della demolizione «ha ad oggetto esclusivamente la res abusiva; non consiste in una misura afflittiva volta a punire la condotta illecita bensi' a ristabilire l'equilibrio urbanistico violato»; sicche' il Consiglio di Stato l'ha definita «sanzione ripristinatoria» (Consiglio di Stato, sezione sesta, sentenza 22 maggio 2017, n. 2378). Peraltro, deve porsi in risalto come anche l'ordine di demolizione disposto con la sentenza del giudice penale costituisca una sanzione di natura amministrativa. Tale principio e' stato di recente ribadito dalla Suprema Corte nella sentenza n. 36383/'15 della Sezione III, alla cui stregua "l'ordine di demolizione delle opere abusive emesso dal Giudice penale ha carattere reale e natura di sanzione amministrativa a contenuto ripristinatorio e deve pertanto essere eseguito nei confronti di tutti i soggetti che sono in rapporto col bene e vantano su di esso un diritto reale o personale di godimento, anche se si tratti di soggetti estranei alla commissione del reato". Ed ancora, e' pacifico in giurisprudenza che "sulla base delle argomentazioni svolte dalla sentenza della Corte Europea 20 gennaio 2009, Sud Fondi, emerge che la demolizione - a differenza della confisca - non puo' considerarsi una pena nemmeno ai sensi dell'art. 7 della C.E.D.U. perche' essa tende alla riparazione effettiva di un danno e non e' rivolta nella sua essenza a punire per impedire la reiterazione di trasgressioni a prescrizioni stabilite dalla legge" (cfr. Cass. Pen., Sez. II n. 48925 del 22.10.2009). Tali principi - peraltro - non consentono di condividere le opposte argomentazioni con cui, nella memoria difensiva datata 06.12.2018, si chiede dichiararsi estinta la sanzione della demolizione (ritenutane la valenza di pena) ai sensi dell'art. 173 c.p.. Dunque, non si ravvisano, nel caso di specie, i presupposti per ritenere violato il principio del ne bis in idem, nelle forme per le quali e' oggetto di tutela da parte della Corte di Strasburgo. Del resto, osserva questo Collegio come dopo l'emissione della sentenza Grande Stevens ed altri c. Italia - ed in conseguenza dell'acceso dibattito che ne e' conseguito e delle oscillazioni interpretative registratesi nella giurisprudenza interna - sia intervenuta la decisione della Grande Camera della Corte E.D.U. A e B e. Norvegia 15 novembre 2016, che ha ridimensionato il precedente orientamento, mitigando la rigidita' della presa di posizione assunta con la sentenza sopra menzionata. La Grande Camera ribadisce altresi' i presupposti dell'identita' del fatto storico e della natura sostanzialmente penale delle sanzioni amministrative, ma riafferma il principio che gli Stati possono adottare risposte sanzionatorie complementari di fronte a comportamenti socialmente inaccettabili, con il limite che cio' non comporti un onere eccessivo per il soggetto sanzionato. Nella efficace sintesi della sentenza in discorso, la Grande Camera finisce con l'affidare al giudice nazionale il compito di stabilire se ci si trovi, o meno, in presenza di un bis in idem, valutando se i procedimenti in questione presentino, avendo riguardo alle peculiarita' dei casi di specie, il requisito di un nesso, materiale e temporale sufficientemente stretto ("sufficiently dose connection in substance and time"). Tali principi sono stati ribaditi dalla giurisprudenza interna, segnalandosi al riguardo la sentenza n. 45829 del 16.07.2018 della Corte di Cassazione, Sez. V. Dunque, il cumulo sanzionatorio e' compatibile con il principio del ne bis in idem laddove (sulla base di valutazioni rimesse esclusivamente ai giudici nazionali) i procedimenti sanzionatori presentino una connessione sostanziale e temporale sufficientemente stretta, valorizzandosi in particolare la prevedibilita' del doppio binario, l'unicita' della raccolta e valutazione delle prove, Ia complessiva proporzionalita' delle sanzioni inflitte rispetto alla gravita' della condotta, tutti requisiti che - secondo questa Corte - possono essere ravvisati nella sinergia applicativa dell'ordine di demolizione disposto dall'Ente locale e di quello stabilito con la sentenza del giudice penale. Ed invero le due sanzioni, pur conseguendo a procedimenti distinti facenti capo a diverse Autorita', si completano a vicenda nella prospettiva del ripristino dello stato dei luoghi anteriore all'alterazione del territorio cagionata dalla violazioni urbanistiche del reo, fondandosi sugli accertamenti della P.G.. Nella fattispecie in esame, poi, vi e' contiguita' cronologica fra il primo ordine comunale di demolizione e l'instaurazione del procedimento penale che ha condotto alla pronuncia della sentenza di condanna di primo grado (22.11.1999). Ne' si ravvisa una sproporzione tra l'effetto complessivo degli interventi sanzionatori e la gravita' della condotta ascritta alle condannate, data la suscettibilita' di quest'ultima di pregiudicare significativamente l'ordinato sviluppo urbanistico del territorio, contribuendo allo scempio del paesaggio notoriamente cagionato in Italia dall'incontrollata attivita' di edificazione in spregio delle norme che governano il settore. Inoltre, l'equilibrio della complessiva risposta sanzionatoria si evince dalle interazioni delle sorti dei distinti provvedimenti, essendo previsto, ad esempio, che l'esecuzione dell'ordine giudiziale di demolizione debba arrestarsi di fronte a determinate vicende, quali l'avvenuta demolizione in via amministrativa e l'emissione di provvedimenti amministrativi di sanatoria degli abusi ovvero impositivi di vincoli di destinazione dei manufatti abusivi che vengano ritenuti rispondenti ad un interesse prevalente su quello all'eliminazione delle opere ed al ripristino dello status quo ante. A fronte di cio', va evidenziato come il raggio delle censure avanzate dalla difesa sia limitato all'esame delle implicazioni sul diritto interno della sentenza "Grande Stevens", senza valorizzare nella giusta portata i significativi sviluppi successivi della giurisprudenza comunitaria ed interna, rispetto ai quali le ulteriori pronunce richiamate dalla difesa con le integrazioni documentali versate in atti (tra cui la sentenza della Corte Edu, sez. II, del 16.04.2019) non appaiono aggiungere elementi di novita' in ordine alle problematiche in oggetto ed in particolare rispetto a quanto stabilito dalla Grande Camera della Corte E.D.U. nella decisione A e B c. Norvegia 15 novembre 2016. Ed invero, con riguardo alla piu' recente giurisprudenza di legittimita'., si e' osservato che "l'imposizione dell'ordine di demolizione di un manufatto abusivo, anche se disposta dal giudice penale ai sensi dell'art. 31, comma 9 D.P.R. n. 380 del 2001, art. 31 ha natura di sanzione amministrativa che assolve ad un'autonoma funzione ripristinatoria del bene giuridico leso e non ha finalita' punitive, producendo effetti sul soggetto che e' in rapporto con il bene, indipendentemente dall'essere o meno quest'ultimo l'autore dell'abuso, non comportando ragione di tali caratteristiche, la violazione del principio del ne bis in idem convenzionale, come interpretato dalla sentenza della Corte Europea dei diritti dell'uomo nella causa Grande Stevens c. Italia del 4 marzo 2014 (cfr. Cass. Pen., Sez. 3, n. 17389 del 21.02.2019, non massimata; Cass. Pen., Sez. 3^ n. 51044 del 03.10.2018, M., Rv. 274128). Nell'occasione si e' sostenuto che la richiamata sentenza Grande Stevens c. Italia ha sostanzialmente sostenuto il principio secondo cui il divieto del ne bis in idem puo' ritenersi violato solo allorquando, per un fatto corrispondente sotto il profilo storico-naturalistico a quello oggetto di sanzione penale, sia gia' stata irrogata all'imputato una sanzione formalmente amministrativa, della quale venga riconosciuta natura "sostanzialmente penale" (cfr. Cass. Pen., Sez. 6, n. 31873 del 09.05.2017, P.G. in proc. , Rv. 270852), escludendo, quindi, la sussistenza di una violazione del principio del "ne bis in idem" convenzionale nel caso in cui uno dei procedimenti in relazione al quale si invoca il principio non abbia natura sostanzialmente penale (cfr. Cass. Pen., Sez. 3, n. 56264 del 18.05.2017, P.G. e altro in proc. , Rv. 272329). Quanto affermato dalle richiamate pronunce, nell'ambito di procedimenti aventi ad oggetto materie diverse, ha ripetutamente trovato applicazione in piu' decisioni della Corte di legittimita' relative a procedimenti nei quali l'applicazione della citata pronuncia della Corte EDU era stata invocata con riferimento all'ordine di demolizione di un manufatto abusivo. E' stata infatti ritenuta, in primo luogo, rilevante, ai fini della non applicabilita' del principio, l'assenza di qualsiasi prova della definitivita' della irrogazione della sanzione amministrativa (cfr. Cass. Pen., Sez. 3, n. 30206 del 24.05.2017, G ,non mass.). Si e' poi chiarito che le disposizioni che prevedono la demolizione dell'immobile abusivo non comportano l'applicazione di due "pene" diverse all'esito di due distinti procedimenti relativi al medesimo fatto, venendo invece applicata la medesima sanzione amministrativa finalizzata al ripristino dell'assetto del territorio, escludendosi cosi' una concorrenza di sanzioni e ricorrendo, invece, un'unica sanzione amministrativa, ancorche' irrogabile anche dal giudice penale (cfr. Cass. Sez. 3, n. 41498 del 07.06.2016, F ed altri, non mass.; Sez. 3, n. 17246 dell'8.03.2017, Ivi , non mass.; Sez. 3, n. 20873 del 10.11.2017, N , non mass.; Sez. 3, n. 20874 del 10.11.2017, C non mass.; Sez. 3, n. 9886 del 07.02.2018, S , non mass.). Si pone in risalto che cio' che rileva in maniera determinante e' la natura prettamente amministrativa dell'ordine di demolizione, che assolve ad un'autonoma funzione ripristinatoria del bene giuridico leso, configura un obbligo di fare, imposto per ragioni di tutela del territorio, non ha finalita' punitive ed ha carattere reale, producendo effetti sul soggetto che e' in rapporto con il bene, indipendentemente dall'essere stato o meno quest'ultimo l'autore dell'abuso (cfr. Cass. Pen., Sez. 3, n. 49331 del 10.11.2015, D. Rv. 265540, e successive conformi). L'ordine di demolizione non puo', dunque, in ragione di dette caratteristiche, ritenersi una "pena" nel senso individuato dalla giurisprudenza della Corte EDU; ne resta rafforzato, dunque, il principio che, in materia di reati concernenti violazioni edilizie, l'imposizione dell'ordine di demolizione di un manufatto abusivo - definito nei termini che precedono - non comporta la violazione del principio del "ne bis in idem" convenzionale, come interpretato dalla sentenza della Corte Europea dei diritti dell'uomo nella causa Grande Stevens c. Italia del 4 marzo 2014 (per tutte, Cass. PenSez. 3^, n. 51044 del 03.10.2018, M, Rv. 274128). Non vi e' luogo, dunque, a sollevare la questione di legittimita' costituzionale dell'art. 349 c.p.p. prospettata dalla difesa; del resto, analoga questione e' stata gia' affrontata dalla Corte Costituzionale, la quale, con sentenza n. 102 del 12.05.2016, ha ritenuto la legittimita' della detta norma. Superate le questioni sollevate dalla difesa sub 1), ritiene questa Corte come, con riferimento alle argomentazioni difensive condensate nel punto 2) dell'istanza proposta da D P E e Vanacore Serafina emerga la necessita' di sollevare alla Corte Costituzionale un quesito avente decisiva refluenza sulla decisione da assumere nell'incidente di esecuzione in oggetto. Ed invero, risulta acquisita agli atti copia della delibera n. , mediante la quale il Comune di in attuazione del regolamento adottato con delibera del 05.03.2015, dichiarava "il prevalente interesse pubblico" all'acquisizione conservativa del manufatto abusivo al patrimonio comunale, ai sensi dell'art. 31 co. 5 del D.P.R. n. 380/2001, per destinarlo ad attivita' di "edilizia residenziale sociale". Come evidenziato dalla difesa, il provvedimento e' espressione del potere di valutazione della possibilita' di destinare le opere abusivamente edificate alla realizzazione di prevalenti interessi pubblici, da ultimo rafforzato dalla legge regionale n. 5 del 6 maggio 2013, che all'art. 1, co. 65, prevede che gli immobili acquisiti al patrimonio comunale possano essere destinati prioritariamente ad alloggi di edilizia residenziale pubblica e sociale e che i Comuni stabiliscono, entro novanta giorni dalla data di entrata in vigore della disposizione e nel rispetto delle norme vigenti in materia di housing sociale di edilizia pubblica riguardanti i criteri di assegnazione degli alloggi, i criteri di assegnazione degli immobili in questione, riconoscendo precedenza a coloro che, al tempo dell'acquisizione, occupavano il cespite, previa verifica che gli stessi non dispongono di altra idonea soluzione abitativa, nonche' procedure di un piano di dismissione degli stessi. Deve, pervero, osservarsi come, con la recente sentenza n. 140 del 05.07.2018, la Corte Costituzionale abbia dichiarato l'illegittimita' costituzionale - per violazione dell'art. 117 co. 3 Cost. - dell'art. 2, co. 2 della legge regionale Campania 22.06.2017 n. 19 (Misure di semplificazione e linee guida di supporto ai Comuni in materia di governo del territorio), il quale - in maniera sostanzialmente sovrapponibile all'art. 1, co. 65, della legge regionale n. 5 del 2013 - stabiliva che, «ferma restando l'autonoma valutazione dei Consigli comunali sull'esistenza di prevalenti interessi pubblici rispetto alla procedura di demolizione dei beni acquisiti al patrimonio comunale, i Comuni, nell'ambito delle proprie competenze, possono avvalersi delle linee guida di cui al presente articolo per approvare, in conformita' e nel rispetto della normativa nazionale vigente in materia, atti regolamentari e d'indirizzo riguardanti: a) i parametri e criteri generali di valutazione del prevalente interesse pubblico rispetto alla demolizione; b) i criteri per la valutazione del non contrasto dell'opera con rilevanti interessi urbanistici, ambientali o di rispetto dell'assetto idrogeologico; c) la regolamentazione della locazione e alienazione degli immobili acquisiti al patrimonio comunale per inottemperanza all'ordine di demolizione, anche con preferenza per gli occupanti per necessita' al fine di garantire un alloggio adeguato alla composizione del relativo nucleo familiare; d) i criteri di determinazione del canone di locazione e del prezzo di alienazione ad onerosita' differenziata fra le superfici adeguate alla composizione del nucleo familiare e quelle in eventuale eccedenza; e) i criteri di determinazione del possesso del requisito soggettivo di occupante per necessita', anche per quanto riferito alla data di occupazione dell'alloggio; f) i criteri di determinazione del limite di adeguatezza dell'alloggio alla composizione del nucleo familiare; g) le modalita' di accertamento degli elementi di cui alle lettere e), f) e del possesso dei requisiti morali di cui all'articolo 71, comma 1, lettere a), b), e), f) del decreto legislativo 26 marzo 2010, n. 59 (Attuazione della direttiva 2006/123/CE relativa ai servizi del mercato interno); h) le modalita' di comunicazione delle delibere consiliari approvate ai sensi dell'articolo 31, comma 5 del D.P.R. n. 380/2001 all'autorita' giudiziaria che abbia ordinato, per gli stessi immobili, la demolizione ai sensi dell'articolo 31, comma 9 del D.P.R. n. 380/2001». Evidenziando la eterogeneita' delle previsioni della norma appena riportata, la Presidenza del Consiglio dei Ministri aveva adito la Corte Costituzionale evidenziando come, «a fronte di una disciplina statale in base alla quale la demolizione degli immobili abusivi acquisiti al patrimonio del Comune "costituisce la doverosa risposta sanzionatoria per reprimere l'illecito", salve le sole ipotesi previste dal comma 5 dell'art. 31 d.P. R. n. 380 del 2001, con la disposizione impugnata "si ha che il bene, una volta acquisito al patrimonio comunale, non viene demolito, ma assegnato, sulla base di una apposita procedura, agli stessi occupanti, a prescindere che questi siano anche gli autori dell'illecito e senza l'effettiva verifica sulla ricorrenza delle circostanze previste, solo in via eccezionale, nel citato art. 31, comma 5". Il ricorrente conclude sul punto affermando che, in tale modo, la disposizione impugnata "incide, sminuendone la portata deterrente e repressiva, sulle norme statali poste a tutela dell'ambiente, violando la competenza esclusiva statale, ex art. 117, comma 2, lettera s) della Costituzione". Sempre con riguardo alla violazione di tale parametro, il Presidente del Consiglio dei Ministri afferma inoltre che le lettere c) e d) del comma 2 dell'art. 2 della legge reg. Campania n. 19 del 2017 realizzerebbero, "nella sostanza, un effetto analogo a quello di un condono edilizio straordinario, in quanto consent[ono] che immobili abusivi siano "regolarizzati" e assegnati agli autori degli abusi stessi». In altri termini, la Consulta ha ribadito quanto gia' previsto dal Testo Unico dell'edilizia all'art. 31, co. 5, per il quale l'opera abusiva, una volta entrata nel patrimonio del Comune, deve essere demolita e solo in via eccezionale, attraverso una valutazione da effettuarsi caso per caso, puo' essere conservata. La declaratoria di illegittimita' ha travolto anche la possibilita', prevista dall'art. 2, co. 2 della legge cit., di locare od alienare gli immobili acquisiti al patrimonio comunale una volta accertata l'inottemperanza all'ordine di demolizione, qualunque sia il soggetto destinatario (occupante di necessita' o meno), per avere la suddetta disposizione trasformato quella "astratta possibilita'" in un "esito normale". Ad avviso della Corte Costituzionale, il legislatore regionale, cosi' facendo, ha operato in modo da violare sia il principio fondamentale della demolizione sia quello della conservazione in via eccezionale di cui all'art. 31 co. 5 del D.P.R. n. 380/2001, ammissibile - quest'ultima - "soltanto se, tenuto conto di tutte le circostanze del caso, sussista uno specifico interesse pubblico prevalente rispetto al ripristino della conformita' del territorio alla normativa urbanistico-edilizia, e sempre che la conservazione non contrasti con rilevanti interessi urbanistici, ambientali o di rispetto dell'assetto idrogeologico". Cio' posto, non appare dubbio che l'art. 1 co. 65 della legge regionale n. 5 del 2013 contenga 'un'espressione molto simile a quella dichiarata incostituzionale laddove prevede, a chiusura dell'intero procedimento sanzionatorio, la possibilita' di riconoscere "precedenza a coloro che, al tempo dell'acquisizione, occupavano il cespite, previa verifica che gli stessi non dispongano di altra idonea soluzione abitativa". L'evidente analogia va ravvisata, in particolare, nella parte in cui l'art. 2, comma 2, della legge regionale n. 19 del 2017 prevede, alla lettera c), "la regolamentazione della locazione ed alienazione degli immobili acquisiti al patrimonio comunale per inottemperanza all'ordine di demolizione, anche con preferenza per gli occupanti per necessita' al fine di garantire un alloggio adeguato alla composizione del relativo nucleo familiare". L'unica differenza - che, peraltro, non sembra elidere la sostanziale sovrapponibilita' fra le previsioni in esame - e' nel fine di garantire agli occupanti un alloggio adeguato alla composizione del relativo nucleo familiare, intenzionalmente perseguita ed anzi dato per scontato nella disposizione dichiarata incostituzionale, laddove tale evenienza, nella disposizione della legge del 2013, viene espressamente condizionata all'obbligo di verifica che gli occupanti non dispongano di altra soluzione abitativa. Del resto, l'art. 1 comma 65 della legge del 2013, nella sua complessiva articolazione, si pone, per un verso, anche in contrasto con la ratio decidendi della pronuncia di incostituzionalita' e, per un altro verso, come norma strumentale o comunque strettamente connessa alla regola sostanziale dichiarata illegittima. Tuttavia, deve osservarsi come - nonostante la sostanziale corrispondenza dell'art. 1 co. 65 della legge regionale n. 5 del 2013 con la norma dichiarata costituzionalmente illegittima - il primo non abbia mai formato oggetto di ricorso in via principale per eventuale conflitto di attribuzione ad opera del Presidente del Consiglio dei Ministri e nemmeno di questione di legittimita' costituzionale sollevata in via incidentale nel corso di un giudizio e davanti ad un'autorita' giurisdizionale. Appare, dunque, da ritenersi come, per la corrispondenza fra chiesto e pronunciato, non vi sia automatismo di effetti fra la sentenza n. 140 del 2018 e la disposizione (non oggetto del relativo giudizio) della legge regionale n. 5 del 2013, che pure prevede un principio analogo - se non identico - a quello dichiarato dalla Consulta costituzionalmente illegittimo. Ed invero, secondo l'art. 27 della legge n. 87 dell'11.03.1953, la Corte Costituzionale, "quando accoglie una istanza od un ricorso relativo a questione di legittimita' costituzionale di una legge o di un atto avente forza di legge, dichiara, nei limiti dell'impugnazione, quali sono le disposizioni legislative illegittime". E' vero che il principio del chiesto e pronunciato stabilito da tale disposizione - valido tanto con riferimento ai giudizi in via incidentale quanto in relazione ai giudizi in via principale - trova esplicita deroga nello stesso articolo 27, nella cui seconda parte si prevede che la Corte "dichiara, altresi', quali sono le altre disposizioni legislative, la cui illegittimita' deriva come conseguenza dalla decisione adottata"; deve, tuttavia, osservarsi come la Corte Costituzionale non abbia sollevato dinanzi a se' specifica questione di legittimita' costituzionale della legge regionale n. 5 del 2013 (cosa che avrebbe verosimilmente fatto se le parti del giudizio gliene avessero segnalato l'esistenza) sulla base delle medesime censure sottopostele con riguardo all'art. 2 co. 2 della legge regionale n. 19 del 2017, sicche' - ad avviso di questa Corte - manca il presupposto formale della detta ipotesi della illegittimita' costituzionale "consequenziale", ossia che la medesima sia oggetto di puntuale declaratoria ad opera della Consulta. Da cio' discende che la norma pretermessa - nella specie l'art. 1, co. 65, della legge regionale n. 5 del 2013 - debba ritenersi tuttora vigente, pur trattandosi di "disposizione intrinsecamente collegata a quella dichiarata incostituzionale" e della quale appare condividere lo stesso profilo di illegittimita' costituzionale, rappresentato dalla violazione della competenza esclusiva statale ex art. 117, comma 2, lettera s) della Costituzione. Questa Corte ritiene evidente la refluenza della eventuale declaratoria di illegittimita' costituzionale della suindicata disposizione della legge regionale n. 5 del 2013 nel caso in esame, atteso che essa - se effettivamente pronunciata - imporrebbe la disapplicazione dei provvedimenti comunali che hanno condotto all'acquisizione al patrimonio dell'Ente delle opere abusive di che trattasi e sulle quali pende l'ordine di demolizione della cui esecuzione si dibatte nel presente procedimento. Infatti, la giurisprudenza di legittimita' ha stabilito che, in presenza dell'avvenuta adozione di una delibera consiliare che abbia sancito l'esistenza di prevalenti interessi pubblici al mantenimento delle opere abusive, non possa eseguirsi l'ordine di demolizione disposto dal giudice penale con la sentenza di condanna. Ed invero, "l'acquisizione gratuita dell'opera abusiva al patrimonio disponibile del Comune non e' incompatibile con l'ordine di demolizione emesso dal giudice con la sentenza di condanna e con la sua successiva esecuzione ad opera del Pubblico Ministero, ostandovi soltanto la delibera consiliare che abbia stabilito l'esistenza di prevalenti interessi pubblici al mantenimento delle opere abusive (Cass. Pen., Sez. III, 18.12.2006, n. 1904); ancora, "il giudice penale puo' ordinare la demolizione di un manufatto abusivo anche quando sia stata disposta dal Comune l'acquisizione dello stesso al patrimonio comunale, perche' tale provvedimento non e' incompatibile con l'ordine di demolizione, se non e' stata adottata una delibera consiliare che abbia dichiarato la conservazione del manufatto per prevalenti interessi pubblici, essendo entrambe le ingiunzioni dirette a realizzare lo stesso risultato, ossia l'eliminazione dal territorio dell'opera abusiva (Cass. Pen., Sez. III 10.10.2008, n. 41339; in termini, Cass. Pen., Sez. III, 28.04.2010, n. 32952). L'orientamento, inoltre, e' stato piu' di recente ribadito dalla sentenza della Suprema Corte n. 41537 del 12.09.2017, in cui si e' affermato che il trasferimento al patrimonio comunale della proprieta' dell'immobile abusivo non costituisce impedimento giuridico a che il privato responsabile esegua l'ordine di demolizione impartitogli dal giudice con la sentenza di condanna, salvo che l'autorita' comunale abbia dichiarato l'esistenza di interessi pubblici prevalenti rispetto a quello del ripristino dell'assetto urbanistico violato.